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Black Bazar

Alain Mabanckou
Alain Mabanckou
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Prezzo

€ 16,00 

Amante degli abiti firmati, appassionato cultore del lato B delle donne e fine teorico del nodo alla cravatta, il Sederologo si aggira affranto per rue Saint-Denis, Chateâu Rouge, dove il melting pot – un bazar di razze, lingue, stili, musiche, danze – sembra una diaspora africana in miniatura: congolesi, ivoriani, camerunensi, maghrebini e antillani, ovvero i «negri albini», tutti insieme a riempire condomini e bar chiassosi come il Jip’s. Esule del Congo e membro della società dei Sapeur (i neri che vestono bene), il Sederologo, alter ego dell’autore, è stato piantato dalla donna a causa dell’Ibrido, un «primitivo» suonatore di tam-tam, ed è costretto a ricorrere alla scrittura – tormentata, diaristica, colorita – per lenire il dolore dell’abbandono, la delusione della paternità sfumata. E ne scaturisce una sorta di parabola esistenziale, una autofiction camuffata in cui Mabanckou si muove con disinvoltura, alternando uno stile potente intriso di citazioni alla lingua viva della banlieue, perché «la lingua francese non è di proprietà della Francia, ma di chi la parla».

Riguardo al libro
Amante degli abiti firmati, appassionato cultore del lato B delle donne e fine teorico del nodo alla cravatta, il Sederologo si aggira affranto per rue Saint-Denis, Chateâu Rouge, dove il melting pot – un bazar di razze, lingue, stili, musiche, danze – sembra una diaspora africana in miniatura: congolesi, ivoriani, camerunensi, maghrebini e antillani, ovvero i «negri albini», tutti insieme a riempire condomini e bar chiassosi come il Jip’s. Esule del Congo e membro della società dei Sapeur (i neri che vestono bene), il Sederologo, alter ego dell’autore, è stato piantato dalla donna a causa dell’Ibrido, un «primitivo» suonatore di tam-tam, ed è costretto a ricorrere alla scrittura – tormentata, diaristica, colorita – per lenire il dolore dell’abbandono, la delusione della paternità sfumata. E ne scaturisce una sorta di parabola esistenziale, una autofiction camuffata in cui Mabanckou si muove con disinvoltura, alternando uno stile potente intriso di citazioni alla lingua viva della banlieue, perché «la lingua francese non è di proprietà della Francia, ma di chi la parla».
L'autore
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